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    Amarcord: Italia - Olanda 3 - 1  (2652 Click)
    L'impresa da favola contro il gigante arancione
    28/03/2011
    thedog
     

    Gigi Di Biagio non ci voleva credere di esserci ricascato. Aveva promesso che non l'avrebbe più fatto, lui, che ancora si sentiva rimbombare nelle orecchie il tonfo sordo della traversa dello Stade de France, colpita con tutta la forza che si poteva avere in corpo poco meno di due anni prima. No, aveva detto, non l'avrebbe più rifatto. Aveva avvertito gli amici, la moglie, gli stessi compagni di squadra: "Mi spiace ragazzi, ma questa volta, se arriviamo ai rigori, io non tiro".
    Ecco perchè fu strano vedere il testaccino fissare un gigante olandese protetto alle sue spalle da un muro, una distesa umana arancione, andare a prendersi il pallone, e percorrere lentamente gli ultimi cinquanta metri di campo restanti dal cerchio di mediana ad un altro cerchio, molto più piccolo del primo: il dischetto del rigore. Gli ultimi cinquanta metri, il miglio verde.
    Accanto a lui, rannicchiato vicino alla porta, Francesco Toldo: lui sì che davvero non può immaginare come finirà la storia infinita con quei dannati undici metri.

    Ad Amsterdam è il 29 Giugno del 2000, e gli azzurri si scontrano proprio con i padroni di casa olandesi, incalzati da un stadio composto per tre quarti dal tifo orange, che sogna l'ingresso in finale, a distanza di dodici anni dalla perla sotto la traversa dell'Olympiastadion di Monaco incastonata da Marco Van Basten con un'angolazione impossibile.
    Gli azzurri, nella loro spedizione europea, sono accompagnati come da buona tradizione da un coro nazionale formato da cinquantasei milioni di allenatori, che speculano sul modulo e sugli interpreti, ma soprattutto sulle scelte del ct, quel Dino Zoff divenuto campione del mondo a quarant'anni suonati con la fascia al braccio, ed in particolare su una: quella di lasciare inizialmente in panchina l'astro nascente Totti, che col passare dei giorni e delle partite si sta imponendo come una delle sorprese più positive dell'intera manifestazione sportiva, a vantaggio di Del Piero, l'uomo che a questi Europei si è presentato con la maglia numero dieci sulla schiena. Sono scelte difficili da prendere, e Zoff la prende: Totti in corso d'opera, Del Piero titolare. Ci si gioca l'ingresso ad una finale continentale.
    I centoventi minuti (e rigori) che seguono entrano di diritto in quelle che Pasolini avrebbe definito "rappresentazioni collettive", frutto dello spirito melodrammatico del nostro popolo, che assisterà a due ore di eroica resistenza partigiana da parte degli azzurri, consacrando nella memoria sportiva gli eroi dell'Amsterdam Arena.



    E dire che questi indefessi guerrieri in calzoncini nei primi minuti di partita ce l'avevano messa tutta per farla finire ancora prima che ce ne potessimo accorgere, e strillare l'ultima parolaccia, l'ultimo insulto al dio del pallone, che invece, contro ogni pronostico, ci regalò uno dei pomeriggi più emozionanti di tutti.
    Sì, perchè l'Italia nella prima metà di tempo è rintanata negli ultimi trenta metri, e Zambrotta, che impazzisce a correrre dietro Zenden, ne sembra il simbolo: e infatti, dopo essere già stato ammonito e aver messo a terra il folletto olandese per l'ennesima volta, l'arbitro, il tedesco Merk, opta per l'espulsione. Perfetto, abbiamo sospirato tutti: eccoci qua, la classica partita di sofferenza alla quale siamo abituati ad assistere da sempre; e invece no, perchè il destino assurdo che questa partita si porta dietro, davvero nessuno sarebbe riuscito a preventivarlo. La paura azzurra cresce esponenzialmente, con un palo colpito da Bergkamp in seguito ad una splendida azione personale: si attende solo la zampata decisiva degli uomini di Rijkaard, adesso che è chiaro a tutti che gli olandesi con noi stanno giocando al gatto col topo, al punto che nessuno si stupisce quando, intorno alla mezzora, ai padroni di casa viene fischiato un calcio di rigore per una dubbia trattenuta di Nesta ai danni di Kluijvert, proprio lui, la giovane punta scartata dal Milan alla ricerca di una vendetta col calcio italiano.
    E' da questo momento in poi che la storia lascia per sempre il posto alla leggenda.
    Sul dischetto si presenta Frank de Boer, il capitano. Toldo, che di questa leggenda diventerà il primattore, non batte ciglio: quando la traiettoria dagli undici metri parte, il portierone non ha un'esitazione,e si butta con tutti i suoi due metri sulla sinistra. Caso strano, il pallone passa proprio di là, e con un colpo di reni, viene allontanato in calcio d'angolo. Ricacciato in gola l'urlo dei cinquantamila dello stadio, l'unico urlo che si sente è proprio quello di Toldo, che dopo la parata schizza in alto come una palla matta a festeggiare.
    Il primo tempo si conclude fra la paura e il sollievo di chi sa di essere scampato a un bel pericolo: ma è la battaglia ad essersi conclusa, non la guerra.

    Alla ripresa delle ostilità, il vento inizialmente sembra cambiato. Dopo un tempo passato a rannicchiarsi e a provare qualche piccola ripartenza, l'Italia alza la testa, seppur in inferiorità numerica e con Del Piero, l'uomo della fantasia, spostato sulla fascia sinistra, con ovvi compiti di copertura. Arrivano anche le prime conclusioni pericolose verso la porta difesa da Van der Sar, fino a questo momento spettatore non pagante, ma è proprio quando sembrerebbe arrivato il nostro momento che un brivido scorre freddo sulla schiena: Davids intercetta un pallone sulla tre quarti, il suo scatto palla al piede è bruciante, e lascia indietro tutti, soprattutto il compagno di squadra alla Juve Mark Iuliano, che senza fare troppi complimenti lo stende alle porte dell'area di rigore, ma abbastanza dentro per decretare il secondo penalty fischiato da Merk.
    Si sa, il destino lo si puo' evitare una volta, ma non due, non in questa situazione, non in questa partita perlopiù: è arrivato il momento di piegarsi di fronte agli avversari.



    Il rigorista cambia: Frank de Boer non ha problemi a lasciare l'onere e l'onore a Patrick Kluijvert.
    Fra lui e Toldo si instaura un intenso scambio di glaciali sguardi di sfida: ognuno dei due sta provando a rubare il segreto dell'altro, privandolo della sua forza. L'attaccante del Suriname ha il sangue agli occhi, non vede già l'ora di andare a festeggiare.
    La sua rincorsa spiazza Toldo.
    Tutto lo stadio, per un istante, si ferma.
    Quando si riemerge dall'apnea, il pallone, inspiegabilmente, è finito sul palo. 
    Pelè, il calcio, ospite d'onore in tribuna, non ci crede.

    E' questo l'episodio che cambia la partita. Gli olandesi sono consapevoli del fatto che due occasioni d'oro, due veri match ball di questa portata, difficilmente ricapiteranno; gli italiani, invece, col passare dei minuti acquisiscono sempre di più la mentalità di chi non ha nulla da perdere, arrivati a questo punto. Zoff capisce che è arrivato il momento di cambiare: dentro prima Delvecchio (a rilevare uno spento Pippo Inzaghi) e poi, a dieci minuti dalla fine, Francesco Totti, l'astro nascente.
    La partita, divenuta una gara di resistenza, vede il punteggio ancora bloccato in parità, quando Merk fishia la fine dei tempi regolamentari. Gli italiani sono con un uomo in meno da più di un'ora e devastati dai crampi, e pensano in aggiunta con terrore al golden gol: sarebbe davvero una beffa, a questo punto, uscire per un gol, senza avere neanche la possibilità di provare a rimediare. E invece, sono proprio gli azzurri a far tremare l'Amsterdam Arena, quando un lancio di Totti trova in ritardo la retroguardia degli orange e imbecca Delvecchio, che cavalca verso Van der Sar, ma il suo rasoterra viene miracolosamente deviato in angolo dall'estremo difensore olandese.
    Niente da fare.
    Quand'è così, c'è solo una risposta.
    I calci di rigore.

    E adesso Gigi Di Biagio non ci crede di esserci ricascato, come tutta l'Italia non ci crede di essere ricaduta in una maledizione che assomiglia grottescamente alla chiusura di un cerchio. I rigori sono stati fatali, nel giro di otto anni, in ben tre occasioni: nel mondiale casalingo del 1990, quando bloccarono le porte per la finale dei sogni, in quello americano quattro anni dopo, ancora più avanti, all'ultimo atto, contro il Brasile di Dunga e Romario. E di nuovo, contro la Francia padrona di casa e futura campione del mondo '98, i rigori hanno piegato gli azzurri.
    Sono stati fatali per Donadoni e Serena, per Baggio, per il capitano Franco Baresi, ma ancora di più per Gigi Di Biagio, l'utimo della lista di questi eroi sfortunati: si sente ancora rimbombare nelle orecchie il tonfo sordo della traversa dello Stade de France, quando prende il pallone e percorre il suo personalissimo miglio verde, gli ultimi cinquanta metri di campo fra lui e un muro arancione.
    Vuole tirare per primo, e togliersi il pensiero una volta per tutte, maledettissimi rigori.



    Solo contro tutti, opta per la scelta più difficile: colpo preciso sotto l'incrocio.
    Il mostro arancione di fronte a lui formato da migliaia di occhi braccia mani pance e visi intuisce e attiva i suoi tentacoli.
    Ma la maledizione è finita.
    La rete si muove, per la prima volta dopo due ore, e nonostante due rigori a sfavore e il mostro tentacolare arancione, la rete si muove. L'Italia è in vantaggio.
    A pareggiare i conti si presenta nuovamente Frank de Boer, che da capitano si prende la responsabilità di aprire il fuoco.
    Non si puo' sperare in un'indulgenza plenaria per i nostri peccati.
    Ma de Boer sbaglia, e d'improvviso si inizia a pensare al miracolo, così, su due piedi.
    Toldo ha parato di nuovo.
    Rimaniamo in vantaggio.
    L'olanda è sotto shock.
    Ma è solo l'inizio della lotteria, puo' ancora succedere di tutto. Certo è che quando Pessotto si incarica del secondo rigore, abbiamo una grossa possibilità di far pendere dalla nostra parte l'ago della bilancia.
    Pessotto, tre passi di rincorsa , la sua trasformazione è perfetta: palla a destra, Van der Sar a sinistra.
    Italia due, Olanda zero.
    Il secondo rigorista olandese è sempre un difensore: Jaap Stam quando si dirige verso il dischetto ha in faccia tutta la rabbia di cinquantamila olandesi desiderosi come lui di gonfiare quella porta.
    Ma anche la sua conclusione è troppo rabbiosa.
    La palla sorvola la traversa, e finisce dritta in tribuna.
    E' lo psicodramma olandese che si sta concretizzando.
    Centoventi minuti, quattro rigori tirati, tutti sbagliati.
    Il dio del calcio sta tramando qualcosa.
    In mente ha un'idea strana, e la mette in testa a Francesco Totti, giocoliere dell'incoscienza.
    Che decide di beffare il mostro arancione con un cucchiaio.
    Un gesto da giullare, l'opera di un re.
    Il tocco morbido si posa delicatamente in rete, ed allora sì, l'Italia e gli azzurri capiscono di avercela fatta.
    Siamo sul tre a zero.
    La palla adesso è rovente per gli olandesi, che però accorciano le distanze con Kluijvert, che mette a segno il primo gol per i padroni di casa, incredibile ma vero.



    Adesso la distanza che separa gli azzurri dalla finale sono i passi che Maldini percorre per porre il sigillo del capitano.
    Ma la sua conclusione è parata da Van der Sar, ed allora, per un attimo, tutti riformulano i precedenti calcoli.
    La matematica non ci premia.
    Potremmo ancora sbagliare tutto, e vedere svanire una vittoria epica, senza precedenti.
    L'unico che non ci pensa su neanche un secondo è Francesco Toldo.
    Che sceglie di buttarsi dove mai era andato, a destra, quando Bosvelt calcia il quarto rigore, che poteva tenere ancora in gioco gli orange.
    L'Amsterdam Arena si riempie di neve, e siamo al ventinove di Giugno.
    Toldo non ci ha pensato su neanche un secondo.
    Il pallone gli ha obbedito.
    Il mostro arancione è battuto.
    Italia tre, Olanda uno.
    I rigori, quei maledettissimi rigori, stavolta ci hanno sorriso.

    Finisce così, tre a uno per l'Italia, una partita che assomiglia più ad una favola, di quelle che si raccontano ai bambini per fargli prendere sonno.
    E sarà bello provare a prendere ancora sonno, sognando quella partita infinita, quella resistenza eroica in inferiorità numerica, quei tuffi d'angelo che ci hanno lasciato a bocca aperta, con in mano la più forte delle sensazioni.
    Quella di essere stati Davide contro Golia, ed aver battuto il gigante.
    Un enorme gigante tentacolare arancione. 





     
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    UtenteData/OraCommento
    nanus29/03/2011
    14.15.41
    Ottimo Amarcord - Tanti sn gli spunti di qs favola raccontata con garbo e competenza - elementi emozionali e descrittivi sono equlibrati e coinvolgenti. Grazie The Dog hai fatto un bel regalo ai navigatori ! :)


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