Milano, 7 maggio 2016 - 19:57

«I tempi felici verranno presto»,
la fiaba di Comodin a Cannes

Alessandro Comodin, regista emergente in Francia, torna per la seconda volta sulla Croisette con la storia di due ragazzi in fuga: il mio fantasy ispirato da racconti di guerra

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Roma «L’unica cosa certa, prima di mettermi al lavoro, era il mio desiderio di raccontare una storia, in equilibrio tra la realtà e la fantasia, di giovani in fuga, un fantasy di ragazzi che scappano». Viene da pensare che I tempi felici verranno presto, secondo lungometraggio di Alessandro Comodin — evento speciale alla Semaine de la critique al Festival di Cannes al via mercoledì prossimo — sia nato da qualcosa che conosce molto da vicino.

Friulano, 33 anni, due figli, è uno dei tanti che se n’è andato, giovanissimo, dall’Italia. E all’estero, in Francia, ha trovato le condizioni giuste per emergere. «Sì, l’istinto di fuggire è un modo di essere che mi appartiene. È una cosa umana voler partire, essere liberi, andare verso qualcosa che pensi ti possa assomigliare». Nel suo caso, la spinta iniziale è stata un Erasmus, all’epoca degli studi al Dams Bologna, quindi è arrivata la scuola di cinema a Bruxelles, poi Parigi, città d’adozione. «Ho approfittato di quel che offre questa epoca. Come me ce ne sono tanti di ragazzi italiani, un esodio di ricercatori, architetti: in Francia trovano quello che cercavano ma nel loro paese non hanno trovato», spiega. Nel suo caso, poter fare il cinema a modo suo. Con la sua opera prima, L’estate di Giacomo, ha vinto il Pardo d’oro Cineasti del presente a Locarno nel 2011 e ottenuto riconoscimenti in diversi festival internazionali. Anche quella, una storia di ragazzi, Giacomo e Stefania: una giornata sul fiume, l’amicizia, l’amore.

I tempi felici verranno presto, una coproduzione Okta Film, Rai Cinema, Arte France e Shellac Sud, racconta Comodin, «prende spunto da Dino Selva, un amico di mio nonno che è ritornato a piedi dalla Russia nel 1945. La guerra è un grande forno di storie, dal sapore mitologico per noi che ne siamo lontani. Mi ha sempre colpito l’idea di quel ragazzo di vent’anni, prigioniero, che è saltato dal treno che lo avrebbe portato in Siberia. Da quel giorno, ha passato quattro anni in giro per l’Unione Sovietica, un girovagare con un’ unica direzione precisa, il Sud, il sole. Ma di quegli anni ha sempre parlato poco, chiuso nell’impossibilità del racconto».

Protagonisti sono Tommaso e Arturo che sono riusciti a scappare cercando rifugio nella foresta e Ariane che, molti anni dopo, si muove sulle stesse montagne. «Una ragazza di oggi, il suo terreno di battaglia è la malattia. Passato e presente si incrociano, in comune c’è la nostalgia della gioventù, dello spirito di avventura». La realtà è mescolata a fiabe, leggende e mistero. «Siamo in perenne bilico tra queste dimensioni e nessuna delle due è falsa». Tra gli spunti narrativi, dice, i luoghi comuni della letteratura fantastica. «Come le foreste popolate da lupi. Abbiamo cercato a lungo posto giusto, e girato a Cuneo dove i lupi ci sono davvero. Volevamo se ne sentisse la presenza».

Arriva a Cannes per la seconda volta, la prima fu nel 2009 alla Quinzaine con il suo film di diploma Jagdfieber (ha studiato regia all’Insas, la scuola nazionale di cinema di Bruxelles). Eppure in Italia lo conoscono in pochi. «Ho avuto fortuna, sono molto cocciuto, ho trovato il modo di fare quello che mi piace a modo mio. Sono un tipo intransigente, ero convinto che avrei trovato ascolto. Essere testardi aiuta a trovare interlocutori. In Francia c’è attenzione ai talenti». E l’Italia? «Mi manca tanto. Vivo all’estero da tredici anni, ora si inzio a averne nostalgia. Quando torno è come andare al luna park, ho uno sguardo esotico, mi sembra tutto molto bello».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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