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Scampia, l’oasi di calcio in un deserto incompreso

Per molti è solo il simbolo dell'infiltrazione della camorra, una periferia all'insegna del degrado. Ma è anche e soprattutto un cuore pulsante di solidarietà, impegno sociale e voglia di riscatto: anche attraverso lo sport e il pallone
di CIRO TROISE

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NAPOLI - C’è un quartiere a Napoli che ha assunto l’immagine mediatica del potere della camorra. Si chiama Scampia, per molti è solo una periferia all’insegna del degrado e soprattutto un grande supermercato di droga a cielo aperto. In realtà Scampia è ben altro, è un cuore pulsante di solidarietà, impegno sociale, vitalità, partecipazione e voglia di riscatto. Non bisogna fermarsi alla superficie, alla crudeltà che fa notizia, alla sensazione di perdizione che questa periferia trasmette, quasi come se fosse un altro mondo, un quartiere fuori le mura di cinta della città di Napoli.

Se ci s’immerge nella vita di Scampia, si notano varie oasi di resistenza al degrado, avamposti di una battaglia generale contro l’abbandono sociale. Tra quelle di maggior successo, c’è una che utilizza il calcio, lo sport più popolare, l’attività per eccellenza degli scugnizzi, per reagire alle prospettive di vita che sembra disegnare lo strapotere della camorra. Si chiama Arci Scampia la creatura costruita da volontari, maestri di calcio, dirigenti che hanno intrapreso e vinto una sfida collettiva. Il factotum è Antonio Piccolo, in passato portiere con trascorsi in Serie D e nei campionati dilettantistici, oggi simbolo di questa splendida esperienza. Per tutti quelli che, quando pensano a Scampia, immaginano solo droga e violenza, consiglio un viaggio a Napoli con destinazione Via F.lli Cervi, 8. Troverete un centro magnifico con tre terreni di gioco in erba sintetica, un’area d’allenamento per i portieri e un campo di pallavolo. Ma com’è nata questa struttura? Qual è il suo percorso? Come ha acquisito il ruolo di oasi in un deserto incompreso?

Tutto è nato nel 1986, mentre la città di Napoli s’apprestava a godere le magie di Maradona, si lavorava all’idea di una scuola calcio a Scampia partendo da un circolo Arci. L’inizio dell’avventura è romantico, si comincia al “Monterosa”, un campetto in terra battuta realizzato con l’impegno di alcuni volontari che decidono di strappare una zona all’abbandono. La struttura non ha mura di cinta, reti che separano l’impianto. Al primo giorno al campo si presentano solo sette bambini, figli di amici di Antonio Piccolo, che aveva diffuso l’iniziativa in tutto il quartiere. C’è la paura di fallire, di spegnere il fuoco di quell’impresa molto prima che si riesca a realizzarla, a viverla. A Scampia, però, non si molla e gradualmente le soddisfazioni cominciano ad arrivare.

L’Arci Scampia s’iscrive al campionato Giovanissimi regionali ma, mentre s’allenava al “Monterosa”, giocava a Villaricca. Contemporaneamente l’impresa del “Monterosa” non s’arrestava, il terreno di gioco viene allargato, diventa regolamentare. In pochi mesi l’impianto nato dalla passione dei cittadini diventa un punto di riferimento, il luogo di ritrovo per il quartiere nel weekend.

Molto presto l’avventura al “Monterosa” arrivò, però, al capolinea, il campo polveroso servì per sistemare gli abitanti delle “Vele”. Allora l’Arci Scampia è costretta a ripartire, gli allenamenti si svolgono ai campi di calcetto G.P. mentre le gare agonistiche si disputano allo “Stornaiuolo” a Secondigliano. E’ una vita in salita quella dell’oasi in un deserto incompreso, una battaglia costante per restare in vita e svolgere un lavoro sociale che coinvolge sempre più bambini. Nel frattempo continuano le battaglie per lo stadio “Comunale” di Scampia, che sarà poi costruito nel 2008. Un’opera ancora da perfezionare poichè non c’è il manto erboso che darebbe lustro all’impianto.

L’Arci Scampia è una realtà ambiziosa e ha sempre creduto in un sogno: una struttura propria, un punto di riferimento che valorizzi il faticoso ma emozionante impegno quotidiano al fianco dei ragazzi del quartiere. Si tratta di un’attività diversa rispetto alle altre scuole calcio, c’è un’attenzione spiccata verso i valori dello sport e l’aspetto culturale; infatti, è un appuntamento annuale il tour al “Maggio dei Monumenti”.

Il calcio può sottrarre persone alle insidie della strada, insegnare comportamenti di vita, mettere sulla buona strada, l’Arci Scampia è la dimostrazione concreta di tutto ciò.
La battaglia per il centro sportivo dura molti anni ma ad un certo punto si apre lo spiraglio; la Dott.ssa Diletta Capissi mette in relazione la scuola calcio napoletana con la Fondazione Banco di Napoli, la prima istituzione a credere concretamente nell’iniziativa. Poi arriverà il contributo della Fondazione San Paolo di Torino e della Regione Campania. L’Arci Scampia presenta una richiesta per uno spazio abbandonato che gli viene assegnato. Tocca poi al loro impegno trasformarlo nell’”oro sociale” che rappresenta questa struttura dopo vari anni dalla sua apertura. Il centro di Via F.lli Cervi apre nel 2006 ma Antonio Piccolo e i suoi compagni d’avventura devono fare i conti con uno scempio vergognoso: cani randagi, atti vandalici e scene di degrado profondo. Chi si ferma è perduto e l’impegno dell’Arci Scampia continua, raddoppiando le forze per far crescere una realtà che coinvolge sempre più bambini.

La svolta arriva tra il 2008 e il 2010, con il progetto “Campioni nella vita” sostenuto dalla Fondazione Cannavaro-Ferrara e dalla Vodafone. Così il centro è potenziato e diventa il gioiello dei giorni nostri, un’imponente oasi in un deserto che resta incompreso ma che ha un punto di riferimento solido per il proprio riscatto. L’Arci Scampia continua a crescere, conta circa cinquecento ragazzi mantenendo i costi d’iscrizione bassi per conservare la sua grande anima sociale. C’è, però anche un grande lavoro tecnico, realizzato da circa quaranta collaboratori, molti volontari. Un laboratorio di calcio, come dimostrano i risultati sportivi, anche in questa stagione gli Allievi Regionali stanno disputando i play-off, e i tanti talenti costruiti con un rapporto consolidato con il Napoli. Allegra, in prestito al Pavia, e Izzo, in comproprietà con l’Avellino, sono i volti-simbolo di una splendida storia dal Sud. Un’avventura di periferia, un’oasi di un deserto incompreso che ha scelto il calcio per combattere una guerra con ignoranza e degrado al centro del proprio quartiere.
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