Alle sei del pomeriggio, nel Tempio buddista che l’Istituto italiano Soka Gakkai sta inaugurando, risuona forte il «Nam myoho renge kyo».

In prima fila è seduto il pallone d’oro, Roberto Baggio, mani giunte che stringono una specie di rosario e testa bassa per nascondere il viso alle telecamere. Accanto ci sono rappresentati delle istituzioni, l’ex sindaco Valentino Castellani, consiglieri vari, e torinesi che hanno abbracciato il credo della comunità fondata negli anni 30 in Giappone. Il buddismo è molto più antico e ha diverse interpretazioni. Questa del Soka Gakkai, per esempio, è laica. Non prevede nessuna figura sacerdotale.

Tempio per 6.000 fedeli

Sono tutti qui, in corso Bramante 58, per festeggiare l’apertura non di un centro culturale ma di un vero e proprio santuario che sarà punto di riferimento per circa seimila fedeli quanti sono quelli che vivono in Piemonte e Valle d’Aosta: professori universitari in cerca di pace, disoccupati soffocati dalla crisi, segretarie, donne manager che, per ragioni diversissime, hanno deciso di credere che la possibilità di cambiare le cose stia dentro di loro. «Con il buddismo cambi lo sguardo - dice Rosa Lapiana, con un sorriso contagioso, responsabile regionale dell’Istituto - la conseguenza è che la vita si trasforma. Le difficoltà non sono più ostacoli, ma opportunità per migliorare. Il cambiamento così, diventa rivoluzione». Il patto è che la forza perché ciò accada bisogna trovarla dentro: il buddismo non si appella a divinità esterne. Sarà, ma immaginare che un mantra possa cambiare il modo di vedere la vita è dura.

Baggio e Nakajimac

Il presidente dell’Istituto Soka Gakkai in Italia, Tamotsu Nakajimaci, uomo esile e timido, spiega: «La nostra preghiera è una legge mistica e racchiude un concetto sacro: la relazione tra causa ed effetto. Durante il giorno bisogna lottare per la nostra felicità e per quella degli altri. Serenità e felicità dipendono dal comportamento di ogni singolo praticante». Quel che dai, in pratica è ciò che ritorna. Poche file dietro Baggio nasce all’improvviso un dialogo interreligioso: ci sono il pastore valdese Paolo Ribet e il professore di scienze al Politecnico, Bruno De Benedetti convertito dall’ebraismo. «Nella vita conta il percorso che si fa. Camminando scopri la tua direzione» dice il primo. «Ho capito che il mio approdo era il buddismo nell’87 quando mia moglie si è ammalata e io non riuscivo a trovare una ragione che mi aiutasse ad accettarlo» spiega il secondo.

Terminata la preghiera con un corale «grazie» l’ex calciatore spiega: «Sono venuto qui per restituire all’Istituto di Torino ciò che mi ha donato durante i cinque anni in cui giocavo per la Juventus. Avevo incominciato a praticare due anni prima a Firenze. Un amico me ne parlò e io fui disponibile a provare». A provare a credere in se stesso. Perché poi stringi stringi il segreto per chiunque è tutto lì.

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