Era un segreto che non poteva, o non voleva, più tacere, ma per arrivare finalmente a liberarsene ha rinunciato alla carriera da calciatore. Non era certo un fuoriclasse, Robbie Rogers, ma a soli 25 anni l’attaccante statunitense che giocava in Inghilterra aveva davanti ancora tante stagioni, eppure ha scelto di dichiarare pubblicamente la sua omosessualità conscio delle conseguenze. Proprio per questo suo atto di «coraggio» ha ricevuto sostegno e approvazione da parte delle principali associazioni americane per i diritti dei gay.

«Per 25 anni ho avuto paura, paura di mostrare chi ero veramente, paura dei giudizi e dell’eventuale rifiuto da parte di chi mi amava - ha affermato il giocatore -. Il calcio era la mia fuga, il mio obiettivo, la mia identità e mi ha dato più gioia di quanto potessi sperare. Ma è il momento di andare via e di riscoprire me stesso lontano da questo mondo». Rogers non ha detto di essere stato «costretto» a lasciare, ma il fatto di essere il primo giocatore professionista a dichiararsi pubblicamente gay rendeva la sua posizione piuttosto delicata in un mondo dove il tema è sempre stato accuratamente evitato. Calcio a parte, le associazioni gay hanno sottolineato che nessun atleta dei grandi campionati professionistici Usa (dalla Nfl alla Nba) ha mai fatto coming out durante la carriera da giocatore e che la storia di Rogers aiuterà di sicuro a cambiare le cose. Negli Stati Uniti hanno sollevato un vespaio le dichiarazioni omofobe di un giocatore di football dei San Francisco 49/o, Chris Culliver, che pochi giorni prima del SuperBowl aveva detto che «un gay nello spogliatoio non sarebbe gradito e se ci fosse andrebbe cacciato», un segnale che nello sport, molto più che nella società, la strada per riconoscere i diritti degli omosessuali è ancora piuttosto lunga.

Nel calcio, anche in Europa, sull’argomento gay di solito si glissa, parlandone il meno possibile solo se qualcuno obbliga a farlo, come quando a dicembre un folto gruppo di tifosi dello Zenit San Pietroburgo allenato da Luciano Spalletti ha chiesto ufficialmente alla società di non acquistare calciatori di colore o gay. Pochi giorni prima il portiere danese del Manchester United Anders Lindegaard aveva riacceso il dibattito su calcio e omofobia scrivendo sul suo blog che «al calcio serve un eroe gay, gli omosessuali hanno bisogno di questo, i tifosi sono legati a modelli antichi e rozzi. Il football è rimasto indietro, mentre il resto del mondo è progredito». il caso dello Zenit gli ha dato ragione, e ora la scelta di Rogers sembra proprio accogliere il suo appello.

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