Crotone, calcio e ‘ndrangheta: le rivelazioni del pentito

In Calabria, e in tutta Italia, le partite sono in vendita: è il paese in cui ancora Luciano Moggi è riverito e intervistato. Ma nella regione della ‘ndrangheta i sotterfugi in tribuna ricordano più il copione di GoodFellas che Lucky Luciano.

Soprattutto quando i presidenti delle due squadre che si mettono d’accordo sono discussi: ma la contropartita per una partita decisa già negli spogliatoi non sarà vil denaro. No tra galantuomini di «panza», come si chiamano tra loro gli ndraghetisti, ci si può vendere un Locri-Crotone di Eccellenza, valido per la C2, in cambio di una partita di kalashnikov. Adesso sono in Serie B. Sono una società pulita e ne vanno orgogliosi: quest’anno con mister Lerda hanno mostrato il miglior calcio cadetto e hanno sfiorato gli spareggi per la A. Ma fino a 5 anni fa nel Crotone dettava legge Raffaele Vrenna della potentissima cosca Vrenna Bonaventura, una delle più ricche del Crotonese. E che si voleva dare lustro con il calcio.

Il 10 maggio ’97 c’è l’ occasione per il primo salto: si gioca Locri-Crotone. Basta un punto ai pitagorici per approdare alla C2 e cominciare la scalata al calcio che conta,uno ai locresi per la salvezza. E sarà così; a 3 giocatori del Locri (D’Angelo, Giglio e Caridi) verranno bruciate le auto: si erano impegnati troppo. E a 13 anni di distanza, in giugno, nell’operazione Giano della Dda reggina, il pentito Vincenzo Marino della cosca crotonese rivela cosa si era deciso per lo scambio tra le due società: i Vrenna avrebbero avuto la promozione, ma dovevano acquistare un carico di bazooka e kalashnikov da centinaia di migliaia di euro. Chi vendeva? Chiaramente il clan Cordì di Locri, che come ha dimostrato dalla inchiesta Giano e in aprile l’inchiesta Leone del pm De Bernardo, ha controllato per 15 anni di fila gli interessi del Locri calcio. Così le partite si vendevano per qualche kalashnikov. 

Ieri Libera ha reso pubblico un dossier sul mondo del calcio inquinato dalle mafie. Meritevole iniziativa; ma hanno fatto un calcolo per difetto. Hanno contato oltre 30 clan di mafia, camorra. ‘ndrangheta e Sacra corona unita infiltrati nelle società di Calabria, Sicilia, Campania e Puglia; visti dalla Calabria sembrano pochini. La Calabria che a fine aprile scorso ha visto finire in galera il presidente nominale della Rosarnese, squadra del paesone della Piana di Gioia Tauro, epicentro della rivolta dei migranti in gennaio. Domenico Varrà, 56 anni, guidava la squadra che stava portando a termine con successo la promozione dall’Eccellenza verso il calcio semiprofessionistico: un successo per una cittadina di 16mila abitanti. Anche se i metodi usati per mantenere la discrezione massima sugli affari del club erano discutibili, visto che come presidente onorario c’era Francesco Pesce, il boss del paese. E l’inchiesta “All inside” dell’antimafia di Reggio Calabria in aprile ha dimostrato come la Rosarnese fosse cosa loro. Caos societario, addio promozione. 

Adesso la Gazzetta del Sud ha titolato «È finito il calcio a Rosarno»; anche perché le ndrine hanno subito un duro colpo. E per un presidente che va, ce n’è un altro che ritorna: l’idillio tra Fabiano Pagliuso e il Cosenza è una lunga storia d’amore, nonostante nel 2003 l’allora presidente del Cosenza calcio aveva visto interrompresi bruscamente la sua carriera dirigenziale dopo un mandato d’arresto per diversi reati patrimoniali: sono trascorsi sette anni; intanto è arrivata una sentenza di assoluzione; e Pagliuso è tornato alla guida del Cosenza. 

Come non se ne è mai andato dalla guida della Reggina Lillo Foti, presidentissimo che ha assicurato al club amaranto 9 anni di serie A, mai vista prima dai 200mila abitanti del capoluogo dello Stretto. Pasquale Foti, broker nel mondo dell’alta moda, rilevò nel 1986 con altri 18 piccoli imprenditori la Reggina. Spesero meno di 50 milioni di lire dell’epoca, a testa. Adesso nel consiglio direttivo ne sono rimasti molti di meno; ma non è mai venuto a mancare Gianni Remo, di mestiere attivo nel settore macellazione e vendita carni al dettaglio. Nemmeno dopo che nel 2007 un suo stretto parente (il cognato Michele Labate) finì in una retata contro il clan Labate-Latella, quello che controlla la parte sud della città, dove si trova lo stadio; e dove c’erano gran parte dei primi negozi di abbigliamento da dove cominciò la fortuna del presidente Foti. Gianni Remo è adesso vicepresidente amaranto. Locri, Cosenza, Crotone, Reggina, Rosarnese: le facce del football malato di ndrine. 

Ma c’è anche quello da esportazione: come Giuseppe Sculli, bella ala, ottimi campionati nel Genoa, ma una parentela ingombrante: il nonno è Peppe Morabito U tiradrittu, il boss dei boss dell’Aspromonte. Dopo decenni di latitanza lo arrestarono mentre Sculli era in trasferta con la nazionale Under 21. Disse: «Nnon mi vergogno di mio nonno. Per me è un grand’uomo». E doveva essere un grand’uomo anche Toni “Gambazza” Pelle per i calciatori del San Luca. Il boss apromontano che ha organizzato gran parte dei sequestri negli anni ’70-’80 dei clan calabresi era morto il 3 novembre passato, e l’11 del San Luca scese in campo nel derby di 1ª categoria col Bianco con il lutto al braccio. Risultato: squalifica per i 22 del San Luca e Daspo, interdizione dagli eventi sportivi, di 5 anni per il presidente Giuseppe Trimboli, Perché in Calabria il calcio non è inquinato dalle ndrine. Non si può, semplicemente, distinguere dai clan. 

Gianluca Ursini, L’Unità

 

La smentita del Crotone

A seguito delle notizie apparse su tutte le maggiori testate giornalistiche calabresi laddove si riporta il contenuto di alcune dichiarazioni rese da un superteste a nome Oppedisano, il F.C. Crotone e il proprio direttore sportivo, nel riservare ogni azione legale a tutela della propria immagine nelle opportune sedi giudiziarie, smentiscono categoricamente l’assunto palesemente falso”.

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Redazione

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