La squadra neopromossa in testa alla classifica di serie A
La storia del piccolo club di Verona che ha sfidato le grandi
Campedelli, uomo dei sogni
"Il mio Chievo in Inghilterra"

di GIANNI MURA
VERONA - Strano tipo di presidente, questo Luca Campedelli. Da come guarda in continuazione l'orologio si capisce che gli piacerebbe essere in ditta, tra pandori e cioccolati. Ma c'è una tv giapponese, poi una inglese, due italiane. A Veronello, sulla strada per il Garda, non hanno mai visto tanta gente e ascoltato tante lingue. Veronello, il centro d'allenamento voluto da Saverio Garonzi (già presidente del Verona) è una Milanello in miniatura, ma c'è tutto. I cipressi sono tagliati corti, a tronco di cono. Siamo a mezza via tra il campo di golf e il cimitero. A guardare la squadra ci saranno venti tifosi in tutto. C'entra relativamente, ma ricordo bene, dopo un 53 a Udine, col Verona di Bagnoli a un passo dallo scudetto, i 13 spettatori al campo, 7 pensionati e 6 ragazzi. Questo non significa che il Chievo vincerà lo scudetto, ma è per dare l'idea dell'ambiente.

Sono quasi vent'anni che il marchio Paluani (famiglia Campedelli) è sulle maglie del Chievo. Il 15 settembre del '92 morì improvvisamente, a 61 anni, Gigi Campedelli, il presidente. Il nuovo presidente era già in casa, Luca, anche se aveva solo 23 anni. Ma era il più anziano dei figli, toccava a lui. Se l'aspettava , tutto questo?
"No. Stavamo in C1, la B sembrava il massimo. Soprattutto, a quei tempi, avevo paura di sbagliare, di non essere all'altezza. Il calcio mi piaceva, ci avevo anche giocato, ero scarso, ma si trattava di prendere decisioni, scegliere uomini. Ho avuto la fortuna di trovare, in ditta come nel Chievo, collaboratori più anziani, più esperti. Mi hanno consigliato bene. Altrimenti chissà quante scemate avrei fatto".

Non pensa di aver dovuto diventare adulto in fretta, di aver avuto, se mi passa il termine, una giovinezza accorciata?
"A me lo viene a dire. Sì, è così, ma non avevo scelta".

Senta, a guardarla in tv, ma anche adesso che stiamo parlando seduti a un tavolino all'aperto, lei dà l'impressione di stare su un tappeto di chiodi, parla spesso di sofferenza. E allora mi chiedo, molti si chiedono: quanto soffrirebbe Campedelli se fosse al posto di Cragnotti? O, per stare più o meno nella stessa fascia, di Zamparini?
"Io sono un tifoso e la penso come Nick Hornby: allo stadio si va per soffrire e si soffre anche quando si vince".

Da dove nasce la sua passione per il calcio britannico?
"Dal Subbuteo. E ogni volta che vado in uno stadio inglese questa passione si rinsalda: che pulizia, che entusiasmo, che cultura".

Però nemmeno qui potete lamentarvi.
"E' vero. I nostri tifosi sono gente pacifica, allo stadio vengono molte famiglie, quando l'altoparlante annuncia un gol del Verona i nostri battono le mani. Nessuno tifa contro. Non siamo gemellati con nessuna tifoseria, perché coi gemellaggi si ereditano amicizie ma anche inimicizie".

Mai avuto problemi coi tifosi?
"Una volta sola. In curva avevano messo uno striscione con su scritto: tifosi del Napoli, noi vi accettiamo".

E cosa c'era di male?
"Due accette disegnate ai lati. Ma erano solo tre ragazzi che credevano di fare gli spiritosi. Sono andato a parlarci e l'hanno tolto subito".

Ho letto da qualche parte che lei ha un sogno che non c'entra con lo scudetto.
"Ce l'ho ed è irrealizzabile: iscrivere il Chievo al campionato inglese, potremmo essere una specie di Bolton Wanderers".

A proposito di inglesi: ha risposto a Tim Parks che in un articolo sul Guardian, ripubblicato dal Corriere della Sera e scritto da tifoso del Verona, parlava di "miserabili contadini"e tra gli abitanti di Chievo includeva i topi del canale?
"Non ho risposto. Ma bisognerebbe documentarsi. Non è che a Chievo tutti tifino Chievo, c'è per esempio un Hellas Verona club molto forte, dei fratelli Giacomi. E poi se io venissi da Manchester, che non è percorsa da ruscelli trasparenti, sarei meno severo coi canali e le pantegane altrui. Non ho risposto, ma ricordo che mio padre mi diceva: meglio star zitti e far la figura degli stupidi che parlare e togliere ogni dubbio in proposito".

Prima ha citato Nick Hornby: è il suo scrittore preferito?
"Inglese sì".

E italiano?
"Gian Antonio Stella mi piace molto".

Suppongo "Schei".
"Anche "Dio Po" m'è piaciuto".

Parliamo di schei: quanto le è costato essere azionista del Manchester United?
"Ho 21 mila azioni pagate 1,20 sterline, non le ho cedute nemmeno quando sono salite a 4 sterline. Ma il Manchester mi sta stufando, ormai il calcio è un fatto secondario rispetto al business. E questo mi ha provocato un calo di passione. Però ho anche 8 mila azioni del Celtic Glasgow. E ogni tanto mi rileggo le gesta di Jock Stein, di Billy Bremner, di Nobby Stiles".

Adesso è il caso di parlare un po' del Chievo. Non del futuro, perché so che mi farebbe il discorso della salvezza e dei 40 punti. Qual era l'obiettivo di partenza, al primo anno di A?
"Cercare di onorare il campionato. Non fare i materassi. Andare giù, nel caso, ma lottando".

E invece?
"Invece, vincere la prima domenica, a Firenze, ci ha dato molta fiducia. E siamo andati avanti. E andremo ancora avanti, spero. A me non piace sentir parlare di miracoli e di favole, mi suona riduttivo nei confronti del lavoro fatto seriamente da Del Neri, da Sartori, da Pacione, da tutti. Qui si fa un progetto, si scelgono gli elementi adatti, pensandoci su molto perché nelle nostre condizioni non si può sbagliare. Questo si fa. Ma capisco che, fuori dalla nostra realtà, le dimensioni cambino".

Ma una certa diversità, quella vorrà ammetterla.
"Sì, ma è una questione di maggioranza, come per i matti. E' una maggioranza di sani a decidere che uno è matto, e magari non lo è. Io sarei un genio se, potendo spendere 250 miliardi, decidessi di spenderne 10 e arrivassi alle soddisfazioni che per ora dà il Chievo. Ma io non ho 250 miliardi, spendo quello che posso e cerco di spenderlo bene. Sarà buon senso, ma è senza alternative, senza tentazioni. Anzi, trovo scorretto che si facciano confronti tra il nostro monteingaggi complessivo che vale quello di Batistuta o di Recoba. Bisognerebbe anche aggiungere un particolare: che se un presidente a Roma o a Milano facesse la nostra campagnaacquisti, sarebbe assediato sotto casa dai tifosi.
Siamo dipinti troppo in positivo, finiremo per dare fastidio".

Al posto suo, parlerei al presente.
"La verità è che qui facciamo solo quello che siamo capaci di fare, senza la pretesa di insegnare nulla a nessuno".

Che rapporti ha con gli altri presidenti?
"Normali. Ognuno ha la sua storia. Non le mescoliamo. Ho un rapporto diverso solo con Moratti perché sono tifoso dell'Inter. E lui è proprio un gran signore".

Gli ha già dato Corradi?
"E' presto per parlarne".

E' vero che Manfredini è già della Roma?
"A chiacchiere, sì".

Perché continua ad avere l'aria sofferente?
"Perché mi sta andando via il pomeriggio. Come industriale, dovrei assumere un presidente pro tempore per il Chievo. Lui a fare interviste e io, in questo periodo prenatalizio, tra i pandori".

Mai pensato di ingaggiare Panduru?
"Il romeno che giocava in Portogallo? L'idea è venuta a mio fratello Piero, poi ci siamo messi a ridere".

Lei gioca a Fantacalcio?
"Se avessi tempo, giocherei".

Facciamo finta. Qui c'è una paccata di miliardi, chi compra?
"Un nome su tutti, Giggs. E se avanzano soldi, anche Shevchenko, Javier Zanetti, Simeone e Di Canio".

Avanza ancora qualcosa.
"Basta, mi gira già la testa".

(1. continua)

(1 novembre 2001)
 
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